Tano Siracusa e Beniamino Biondi |
Il successo dell'estate al Funduk ha di sicuro molte
spiegazioni, anche quella di un certo trascinamento inerziale di pubblico
dovuto a una dinamica di 'tendenza'.
Provo a riflettere
brevemente su una spiegazione che può
forse apparire paradossale, e cioè il contesto di crisi del nostro centro storico.
Foto di Tano Siracusa |
La chiusura della Cattedrale,
i crolli, i progetti di Terravecchia e
Ravanusella, e adesso via Atenea
desertificata dall'apertura del centro commerciale di Villa Seta: sono
tutti capitoli recenti di un processo di
progresivo scivolamento verso la periferia
del centro medievale di Agrigento, cioè
di un intero blocco della storia e della memoria collettiva della città, ancora
fino a mezzo secolo fa centro vivo di poche periferie. L'avvento della modernità
ha svuotato il centro di abitanti, di funzioni, di economia, mentre ha
smisuratamente dilatato le periferie dove abitanti, funzioni ed economia si
sono ricollocati in modi disarmonici, irrazionali, dispersivi.
Foto di Tano Siracusa |
L'esperienza del Funduk incrocia
un momento in cui questo processo sembra stia per raggiungere un punto
critico, di non ritorno, ed è stata
percepita e vissuta come un estrema
volontà di resistenza e di opposizione a quel processo. Il luogo d'altra parte, incistato nel cuore
del vecchio tessuto urbano, risulta esemplarmente connotato dal segno di una alterità radicale
rispetto alla città moderna. Questa potrebbe essere una delle ragioni del
successo, il segno che una minoranza di agrigentini ha maturato una posizione
assai critica nei confronti di una modernità che nei confronti del passato si è
posta in termini non di mediazione ma di
astratta, antistorica cancellazione.
C'è da chiedersi poi se il
successo dell'estate al Funduk non esprima soltanto una alterità di
testimonianza, a futura memoria. Se non riesca cioè anche ad indicare una
direzione, a suggerire un modello di nuovo uso del centro storico.
Che di sicuro non può essere
quello del ripristino di una centralità
residenziale ed economica oggi
inimmaginabile.
L'esperienza del Funduk
suggerisce che non si tratta di
invertire il processo che rovescia il centro in periferia, ma di promuovere
negli spazi della città medievale nuove
centralità, anzitutto quella
dell'offerta culturale, di un'offerta di tempo libero orientata al
consumo di beni immateriali, allo scambio culturale, alla comunicazione.
Se il centro viene identificato con gli esercizi commerciali
e con i luoghi di offerta dei beni di
consumo materiali, il destino di via Atenea è già segnato e non sarà diverso da
quello che è toccato all'intero tessuto economico del centro storico. Ma così è
segnato anche il destino della città come città turistica. Se invece il centro
storico diventa lo spazio di una disseminazione di esperienze come quella del
Funduk, può forse tornare ad avere una
funzione e una nuova centralità.
Naturalmente una prospettiva di
questo tipo richiederebbe un concorso di soggetti politici, istituzionali e
sociali di cui oggi non esiste traccia. Ma l'assenza di sponde istituzionali e di sponsor privati
non ha impedito il successo delle nostre serate durante le quali abbiamo costituito un 'tesoretto' di esperienza e di pubblico
che non dobbiamo disperdere.