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sabato 28 luglio 2012

Articolo di Diego Romeo


LA “MINORANZA SILENZIOSA” E DIFFIDENTE DI AGRIGENTO
C’è un numero magico che percorre Agrigento.   Si colloca fra le sei-settimila unità e che periodicamente viene verificato e confermato da eventi elettorali o referendari.  La cifra di settemila apparve nettissima all’indomani del referendum sul  “no” al rigassificatore . Ancora una volta  è emersa nettissima nell’ultima tornata elettorale con le preferenze accordate a Pennica. Che ci sia una “minoranza silenziosa” , coriacea e diffidente ai soliti rituali della politica e all’andazzo socioculturale, ci sembra che ne dobbiamo prendere atto. In estate poi, la  “minoranza silenziosa” si spappola, cede alle lusinghe più variopinte. “Carissimi- avvertivano (e avvertono ancora) i rettori di Seminario- state attenti che l’estate è la vendemmia del diavolo”. Immaginate le cautele dei seminaristi che tornano a casa per qualche settimana. E così accade per la “minoranza silenziosa” akragantina  avida di conoscenze ed  esperienze  da mettere al banco di prova. E anche qui scattano le diffidenze per eventi paludati  o riverniciati come “serata sotto le stelle con cultura e calici” nelle “Conversazioni” promosse dal Centro Pasolini o per la programmazione “acqua e sapone” dello Spazio-Funduk  a due passi da Santa Maria dei Greci  che preferisce la ex-stalla del Palazzo dei Chierici ( il Seminario) per distillare la sua comunicazione chiamando a raccolta gli artisti agrigentini  nel cuore del Centro storico .  Già la parola “conversazione”, non porta bene ricordando il romanzo di Vittorini “Conversazione in Sicilia”. Lo stesso scrittore smantellava le residue speranze del lettore iniziando a parlare di “astratti furori” e di una Sicilia che è “solo per avventura Sicilia perché il nome Sicilia mi suona meglio del nome Persia o Venezuela”. Che al Funduk risuoni chiaro e distinto il nome di Agrigento  con la sua “full immersion” di scrittura, pittura, teatro e cinema molto indigeni appare una esperienza da affrontare con poche diffidenze.  Si è iniziato sabato sera con la mostra di pittura di Crizzo (presentato da Francesco Catalano), una piccola rivelazione nel panorama figurativo del nostro territorio e si è proseguito con la proiezione del film turco “Uzak” di Ceylan i cui attori nel 2002 al festival di Cannes  avevano vinto ex-aequo la Palma d’oro per la migliore interpretazione. Del regista Ceylan , la “minoranza” aveva visto alcuni mesi fa al “Posta Vecchia” , un altro film, “L’amore e il piacere”.  Per dirla in breve Ceylan è una sorta di piccolo Antonioni trapiantato in Turchia e, come il regista ferrarese, ama le rotture degli schemi narrativi  e non obbedisce agli imperativi del botteghino. Difatti qualcuno ha lasciato “la  sala” prima della fine della proiezione. Malissimo, anche perché Vittorio Sgarbi lo avrebbe chiamato per tre volte “capra” come di solito usa fare quando s’incazza e probabilmente gli avrebbe spiegato che per vedere e capire Ceylan occorreva rileggersi Husserl  con la sua “intuizione eidetica della realtà”. Ma si sa, d’estate c’è chi preferisce “noir” e  risolvere cruciverba come se non bastasse risolvere il mistero della trattativa Stato- mafia  Come si vede in autunno si faranno i conti e mentre il “Pasolini” spara le sue cartucce a salve, il Funduk continua la sua vendemmia insieme al diavolo.  Infatti la “minoranza silenziosa” è attesa al varco da un film lituano “La tentazione di San Tony”  (prima visione per l’Italia insieme a “Kinodontas” del greco Lantymos), il cinema di animazione di Lillo Sorce, per poi immergersi nella realtà artistica agrigentina con  i foto-video di Tano Siracusa e Franco Carlisi, le immagini “pinku eiga” di Beniamino Biondi (dove il limite con l’hard core pare non venga superato e se lo fosse fa lo stesso), la invocazione teatrale  di Lia Rocco e Fabrizio Graceffa “La verità, vi prego, sull’amore”, i “Pretesti” di Salvatore Nocera, “Chiantu e scatta cori” di Mimmo Galletto  e poi con Sal Passarella (poeta agrigentino scoperto da Fernanda Pivano), una personale di Fasulo, Amari e Marchisio. Tutta gente indigena, autoctona e autarchica. E se a quel “settemila” potremo aggiungere, dopo, qualche altra decina, sarà tanto  di guadagnato anche perché alla fine di ogni serata  l’offerta è libera e i panini offerti da un forno li vicino hanno il  buon sapore antico dei secoli.

                                                                                                                                            Diego Romeo

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