
Malgradotuttoweb Agrigento e quel fantasma sociale cui nessuno crede
Nel
cuore del Centro Storico, nella zona compresa tra Piazza Ravanusella
e Via Atenea, insiste una ben circoscritta area caratterizzata dalle
vie Gallo, Boccerie, Cannameli, Bagli e Vallicaldi (con annessi
cortili, vicoli e discese). Questo quartiere, storica cerniera di
collegamento tra gli orti a valle della ferrovia e l’antica
Girgenti, meravigliosamente esposto al mare tra le porte Pannitteri e
Saccajoli, versa da almeno 40 anni in un totale stato di degradante
abbandono sociale e strutturale causato da ragioni di ordine
demografico (esodo verso le nuove periferie), antropologico (ricerca
di migliori spazi abitativi), culturale (il tabù e lo stigma della
prostituzione), economico (la perdita funzionale del mercato
ortofrutticolo) e topografico (lo stravolgimento del paesaggio nei
dintorni del mulino Piedigrotta), che hanno altresì prodotto come
loro effetto ulteriori cause di decadimento architettonico e di
regresso civico. Una intera comunità è venuta meno senza che essa
sia stata sostenuta nella sua resistenza o accompagnata nella sua
ricostituzione. Questo quartiere ha finito per assumere le sembianze
sordide di un fantasma sociale, un paradigma involutivo fattosi
non-luogo: è una città altra, governata da leggi proprie,
martoriata dall’indifferenza, deperita dalla decennale noncuranza
delle amministrazioni, carente delle più elementari forme di
profilassi e di organizzazione sociale. Un fantasma, appunto, cui
nessuno pare voler credere come se fingendo la sua inesistenza esso
non esista davvero; è invece è lì, un reticolo di vie fetide, una
ragnatela di percorsi sventrati, una concentrazione aberrante di
miserie, cumuli di spazzatura mai raccolta (vasche e tettoie in
eternit, elettrodomestici, carcasse di auto, rifiuti organici) con
assenza di cassonetti, detriti e inerti da attività di demolizione,
discariche illegali ricavate dentro case abbandonate quando non
riattate a giacigli clandestini, cavi elettrici penzolanti, assenza
totale di illuminazione e segnaletica, randagismo diffuso. Quasi
scavalcando gli apparati del romanzesco, la realtà più grave di
questo perimetro d’inciviltà è costituita dal rischio di
imminenti e preannunciati crolli (dopo quelli già verificatisi) di
alcuni immobili privi di relativa copertura insistenti in un’area
ancora abitata e di percorrenza (soprattutto in riferimento
all’edificio solo in parte demolito e indecorosamente transennato
tra la via Gallo e la Via Boccerie, all’ex Albergo Gorizia in
discesa Gallo e all’immensa struttura situata tra la via Gallo e la
via Bagli che è stata oggetto - nel silenzio generale - del crollo
del tetto e di alcuni solai come testimoniato dalla presenza di
alcuni blocchi arenari in stato di equilibrio precario sulla
prospiciente via Santa Lucia) e assenza di regolare transennamento di
area per messa in sicurezza o divieto di passaggio pedonale. Tuttavia
lì resistono, a due passi dal centro della Via Atenea, in un margine
di passo brevissimo che è però distante come un intero mondo da un
altro che ne è il suo totale rovesciamento, nuove e vecchie forme di
cittadinanza: da una parte gli esempi residui della miseria della
prostituzione e della povertà della piccola delinquenza, dall’altro
la comunità senegalese che lì si è data vita con i suoi usi e
costumi tradizionali. A simbolo di questo sisma non naturale, quasi a
volerne statuire per regolamento la sua totale esclusione civile, il
muro eretto sulla discesa Gallo (che i proprietari di una casa
dappresso hanno voluto quasi pietosamente mascherare con una finta
pianta d’edera) che con la fredda concretezza del cemento frattura
la città. Il sospetto è che questo stato generale di noncuranza non
sia un evento fatale ma l’ordine intenzionale e deliberato che
favorisca nel prossimo futuro speculazioni edilizie prevalenti con
nuove costruzioni sul più sensato recupero dell’esistente
patrimonio abitativo nella salvaguardia assoluta dei profili
planimetrici della rete viaria. Non si può parlar d’altro che di
un ghetto costituito a deliberata metafora dell’intero fallimento
di una città che ha destituito il suo Centro Storico sino a farne la
peggiore periferia di sé stesso.